NOI TRE
" Intanto mi preparo ad interpretare il padre di Mozart in un film di Avati, Noi tre, su un momento fondamentale dell'adolescente salisburghese. l'esame all'Accademia musicale di Bologna sotto la sapiente guida dell'abate Martini. Il film lo gireremo prevalentemente in una villa settecentesca Zola Predosa vicino Bologna, che ha ospitato anche Goldoni, inizialmente Pupi mi aveva chiesto di recitare in tedesco, ma alla prova dei fatti si rende conto di non capirmi. così decide di farmi dire le battute in italiano, e io devo ristudiarmi tutto. L'unico problema del film per me era quello di una serie di sedute di trucco che rendessero credibile il mio invecchiamento
Lino Capolicchio - D'amore non si muore pag 178.
Quindi Lino fece un doppio lavoro di studio per questo film, prima in tedesco, poi in italiano, un personaggio non facile quello di Leopold Mozart da interpretare, perché se da una parte quest'uomo è noto soprattutto grazie alla genialità del figlio, per il quale lasciò il proprio lavoro, per accompagnarlo per ben tre volte in Italia, lasciando moglie e figlia a Salisburgo, d'altro canto è il principale responsabile della mancata infanzia e adolescenza mozartiana. Siamo nel Settecento, quindi le convenzioni e l'obbedienza alla figura paterna erano certamente differenti dalle attuali, ma ciò non toglie che sicuramente Leopold fu un padre autoritario e impositivo, musicista a sua volta, aveva riconosciuto nel figlio la scintilla, ma proprio per questo gli nego ogni libertà. Avati, amante delle storie adolescenziali , dove si sogna ad occhi aperti, e cultore della musica, con Noi Tre vuole rendere omaggio a Amadè, immaginando che per lui, che quando nel suo primo viaggio in Italia del 1770, si fermò nella Villa Albergati, allora poco fuori Bologna, sia stato un periodo, forse l'unico di libertà, quella libertà cui qualsiasi quindicenne aspira; un amico, una ragazza , che addirittura abbia provato volutamente a commettere un errore durante l'esame, perché sapeva che superato quell'esame, di cui parla Lino nell'estratto che ho citato del suo libro, non ci sarebbe stato più ritorno, sarebbe diventato adulto.
Il tema del "bravo musicista" che si imbatte in un genio musicale, è un tema ampiamente trattato nella filmografia avatiana, e presente nella sua vita, Il ruolo che affidò a Lino non fu semplice, una grande prova di attore per lui, che ha avuto un rapporto conflittuale con suo padre, pressoché assente, e che ha cercato la figura paterna nei registi con cui ha lavorato in primis Vittorio De Sica "Il giardino dei Finzi Contini"1971 e Giuseppe De Santis "Un apprezzato professionista di sicuro avvenire" 1972, trovarsi a recitare il ruolo di un padre impositivo come era Leopold.
La letteratura su Mozart è vastissima, ma in questa occasione preme ricordare, la parte meno ufficiale, già messa in luce dal film di Milos Forman "Amadeus" del 1984, in cui faceva ridere il protagonista Tome Hulce in quel modo così coinvolgente e poco formale, ma se andiamo a scandagliare la biografia che ne scrisse Hildesheimer "troppo tardi nella sua vita non seppe chi era. La sua solitudine era la più profonda ma anche la più discreta: non se ne rese conto, almeno fino agli ultimi mesi della sua vita”"
Il film che riuscì ad andare al Festival di Venezia, termino là, almeno per il momento, la sua corsa, uscì in dvd solamente in Grecia.
Lino in quello stesso anno fu chiamato a far parte della commissione esaminatrice del Centro Sperimentale di Cinematografia, per l'ammissione degli allievi ai corsi, di lì a poco assumerà la carica di docente
Miriam Comito
Qui sotto trovate uno stralcio dell'intervista che Markus di Il Davinotti fece a Davide Celli: la parte in cui parla di Lino
Con Lino Capolicchio invece abbiamo fraternizzato. Come Moschin era un pozzo di storie, senza contare che io l’avevo visto nel Giardino dei Finzi Contini e nella Casa dalle finestre che ridono, due cult che hanno segnato profondamente la mia creatività. Gli piaceva fotografare e conosceva molto bene la tecnica

cinematografica, cosa inusuale per un attore. Era amante della tecnologia filmica a tal punto che era diventato molto amico di Garret Braun, l’ingegnere diventato famoso per aver inventato la Steadycam usata per la prima volta nel film Shining. Mi diede molti consigli sugli obiettivi fotografici. In casa avevo una vecchia cinepresa 16 mm con un attacco per le ottiche molto raro, mi spiegò cosa avrei potuto fare per costruire un adattatore. Nei giorni seguenti mi parlò a lungo del film che voleva realizzare, e credo abbia poi realizzato (il film si chiama Pugili ed uscì nel 1995, n.d.a) dedicato al pugile Tiberio Mitri e tratto dalla biografia di Bosco “Una faccia piena di pugni”. Mio padre mi vide entusiasta e me ne procurò una copia, la lessi avidamente in meno di tre giorni. L’inizio è bellissimo: “Tiberio Mitri si trova in treno. La sera prima ha combattuto duramente e ha preso tanti colpi in testa, per questo non si ricorda più chi è”. Si tratta quindi di una biografia che nasce all’istante, mano a mano che il lettore procede di pagina in pagina emerge la grande levatura umana della “Tigre di Trieste”. Davvero geniale. Quando ho visto Memento di Nolan ho pensato a Capolicchio e a Tiberio Mitri. Come si usa dire: “le storie più emozionanti non le ha scritte nessuno, esistono da sempre e si tratta solo di scovarle”
Link all'intervista completa
https://www.davinotti.com/articoli/intervista-a-davide-celli/513
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